La narrazione pubblica italiana dimentica i deportati politici

Arriva il Giorno della Memoria e già si alza il coro: non bisogna dimenticare!

E invece si è già dimenticato da un pezzo.

Gli oppositori politici, che costituivano la grande maggioranza delle vittime italiane dei Lager nazisti, infatti, non trovano spazio alcuno nella narrazione pubblica: sono già dimenticati, anche dalle più alte cariche dello Stato, che in occasione del 27 gennaio riservano la loro attenzione esclusivamente alla Shoah, lo sterminio degli ebrei.

Per capirci, converrà provare a ricordare poche essenziali cifre.

Gli italiani deportati nei campi gestiti dalle SS – Auschwitz, Mauthausen, Dachau, Ravensbrück e gli altri – che furono diversi dai campi di internamento dei militari o dai campi di lavoro, furono circa 40.000. Circa 8.000 furono gli ebrei, interi gruppi famigliari, presi con anziani, donne e bambini, tutti ugualmente identificati come «nemici irreconciliabili» (definizione di Mussolini) del fascismo e del nazismo.

Gli altri, oltre 30.000, non erano ebrei; vennero bollati in grandissima maggioranza dai loro carnefici come “politici”. Erano a vario titolo oppositori del fascismo e del nazismo; quelli, per usare una espressione di Liliana Segre, che avevano fatto la scelta di non essere indifferenti di fronte al fascismo.

Nei campi furono uccisi circa 7.000 ebrei e circa 10.500 “politici”.

Oltre 23.000 furono i “politici” deportati dall’Italia nei campi del Reich, oltre i confini nazionali; quasi un altro migliaio di italiani arrivò negli stessi campi dalla Francia, dalla Germania, dal Belgio. Molte altre migliaia – probabilmente quasi 10.000 – si fermarono nei campi delle SS in Italia, soprattutto a Bolzano e alla Risiera di San Sabba. In quest’ultimo Lager, alla periferia di Trieste, furono rinchiusi e spesso uccisi migliaia di uomini e donne, ma il loro numero e la loro identità probabilmente non li conosceremo mai.

Tra i deportati troviamo ben 650 persone che erano già state schedate dal regime nel Casellario Politico Centrale: antifascisti della prima ora, “attenzionati” fin dagli anni Venti o Trenta, spesso a lungo incarcerati, confinati, perseguitati.

La loro vicenda umana e politica non fa notizia, non commuove, non interessa. Sono anni che l’università italiana non dedica un corso alla deportazione politica, che non si propongono tesi di laurea o dottorati sull’argomento.

Detto in estrema sintesi, la cultura italiana ha rimosso il tema. Cerchereste invano uno studio recente nato in una università italiana su Mauthausen, dove furono uccisi due terzi degli italiani che vi furono deportati. Nessuno da noi studia il campo di Ravensbrück, dove furono concentrate soprattutto le donne; nessun corso è dedicato a Dachau, a Flossenbürg, a Buchenwald. Questi Lager per la cultura italiana semplicemente non sono esistiti.

Qualche anno fa l’Aned – Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti – ha stanziato 20.000 euro per sostenere ricerche e studi in ambito universitario sulla deportazione politica. Quella somma è ancora lì, intatta; alle università il tema non interessa, nemmeno in presenza di un potenziale co-finanziatore.

In Francia, in Germania, in Olanda e in altri paesi europei le cose vanno diversamente. La deportazione dei resistenti è ancora oggetto di studi e di pubblicazioni.

Ovviamente il genocidio nazista degli ebrei ha una sua forte specificità, fa caso a sé. L’idea che dei bambini, addirittura dei neonati, così come dei vecchi inabili presi negli ospizi potessero essere considerati da Hitler nemici così pericolosi da meritare lo sterminio sistematico solo perché ebrei, è una mostruosità di cui bisogna conservare imperitura memoria, e sono ovviamente più che auspicabili gli studi, gli approfondimenti che ne indagano ogni aspetto. Questo non giustifica però la damnatio memoriae degli uomini e delle donne che viaggiarono sugli stessi vagoni merci, che ebbero la stessa fame, che furono vessati, umiliati e uccisi negli stessi Lager in quanto oppositori.

La Shoah e la deportazione politica, a ben vedere, furono due aspetti del medesimo piano nazista di dominio sul mondo. E la loro storia è indissolubilmente legata. Lo ricordò lo stesso Primo Levi, nella sua celebre lettera Al Visitatore di Birkenau: «La storia della deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo, – scrisse – non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere di Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto.»

Una voce nel vento, anche quella di Primo Levi. Come mai? Come si è arrivati a questa clamorosa rimozione?

Io penso che la cosa abbia a che fare con una certa lettura della storia del fascismo, propria delle destre: quella secondo cui Mussolini “ha fatto anche cose buone”, che fu “un grande statista” ma che certo commise «l’errore imperdonabile» di varare le leggi antiebraiche.

Se ci si fa caso la narrazione del Giorno della Memoria, sui media italiani, prende sempre le mosse dal 1938, anno in cui, appunto, furono emanate quelle leggi che si dicono «imperdonabili».

Altra cosa sarebbe per quella stessa destra fare i conti sul serio con l’essenza criminale del regime di Mussolini, nato nella violenza politica e cresciuto con l’abolizione di ogni libertà democratica e con la preparazione di quella guerra che sarebbe costata all’Italia e al mondo decine di milioni di vittime.

Fare i conti con questa memoria vorrebbe dire anche per tanti eletti nel nostro Parlamento prendere atto di una incompatibilità totale tra la nostalgia per quel regime e un ruolo personale nelle istituzioni della Repubblica. Perché è naturalmente vero che le leggi antiebraiche del 1938 furono un crimine imperdonabile. Ma non si trattò di un fulmine a ciel sereno. Migliaia di antifascisti – mio padre e mio zio tra di loro – nel 1938 avevano già finito di scontare una condanna a molti anni di prigione inflitta dal Tribunale Speciale per motivi politici. Ogni libertà era stata soppressa fin dal 1926. Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli e centinaia di altri antifascisti erano già stati ammazzati da un pezzo dai criminali in camicia nera.

La presidente Giorgia Meloni si commuove ricordando le vittime del razzismo fascista, e la cosa le fa onore. Sarebbe lecito attendersi però una parola di solidarietà anche per gli oltre 5.000 uomini e donne condannati dal Tribunale Speciale; per le decine di fucilati – fucilati, sì – dal regime di Mussolini; per le decine di migliaia di connazionali che i fascisti italiani braccarono e arrestarono prima di consegnarli agli alleati nazisti, nei Lager. 

E invece la commozione degli esponenti della destra italiana fino a lì non riesce a spingersi. Non ce la fa proprio. Il guaio è che questa visione delle cose ha conquistato la grande maggioranza dei commentatori, che ad essa si adeguano, in aperta violazione del dettato della legge istitutiva del Giorno della Memoria, che prevede che si organizzino «cerimonie, iniziative, incontri […] su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti».

Se qualcuno volesse vincere con certezza potrebbe scommettere che di tutto questo non si parlerà anche nel prossimo Giorno della Memoria. È una rimozione sulla quale si interrogano anche tanti esponenti tra i più avveduti del mondo ebraico: si possono condannare le leggi razziali senza condannare recisamente il fascismo che le varò? Illuminante, per esempio, il recente intervento di Noemi Di Segni, presidente dell’Ucei: «La condanna delle leggi razziali come male assoluto che abbiamo ascoltato in questi giorni con grande attenzione non può essere selettiva e avulsa dalla considerazione di ciò che il regime fascista ha compiuto nell’intero ventennio. […] La condanna che attendo di ascoltare […] è del fascismo nel suo insieme.» [la Repubblica, 27 dicembre 2022]

Non tutti gli intellettuali italiani, non tutti i docenti delle nostre università, ovviamente, condividono quella lettura della storia.  Ma è un fatto che anche chi non la condivide con ogni evidenza tace e si adegua.

Articolo uscito sul quotidiano Domani il 25 gennaio 2023

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Medaglia d'Oro al Valor Militare

Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria di Mauro Venegoni:

Venegoni Mauro, nato a Legnano (Milano) il 4 Ottobre 1903. Ardente patriota era tra i primi a costituire le formazioni partigiane nella sua zona partecipando con esse per oltre un anno a numerosi combattimenti, sempre distinguendosi per capacità e coraggio. Catturato veniva sottoposto alle più atroci torture, ma nulla rivelava che potesse tradire i commilitoni e la Resistenza. La sua indomabile fede non veniva scossa nemmeno allorché il nemico ne straziava barbaramente il volto ed il corpo, accecandolo prima e poi uccidendolo. Luminoso esempio di sublime sacrificio e di ardente amor di Patria. Valle Olona – Busto Arsizio, 8 Settembre 1943 – 31 Ottobre 1944“.

I solenni funerali di Mauro

Il 25 ottobre 1945, a un anno quasi esatto dal martirio di Mauro, il corpo martoriato del caduto viene accompagnato con un interminabile corteo a Busto Arsizio e infine a Legnano, dove viene sepolto nel campo del cimitero riservato ai partigiani. Il feretro è seguito da un’enorme folla, in un clima di vivissima emozione. Diversi decenni dopo prima  Pierino (scomparso nel 1965) e poi Carlo (morto nel 1983) saranno sepolti accanto al fratello ucciso dalle camicie nere

Il cippo sul luogo del ritrovamento del corpo

Sul luogo dove il corpo martoriato di Mauro fu abbandonato, sulla strada tra Cassano Magnago e Legnano, sorge un cippo commemorativo. Tutti gli anni, nella domenica più vicina al 31 ottobre, centinaia di persone si ritrovano in una manifestazione unitaria antifascista.

La "vacanza" di Mauro a Istonio

Mussolini? Non ha mai ammazzato nessuno.
Al massimo mandava la gente a fare vacanza al confino

Silvio Berlusconi, settembre 2003

Nelle lettere ai fratelli, Mauro minimizza  le difficoltà della sua vita di internato, ma il resoconto che fa della sua vita non lascia molto spazio ai dubbi. Impossibilitato a lavorare, il recluso è costretto a vivere con un sussidio di 6,50 lire al giorno, che non gli garantisce neppure il minimo indispensabile. Ed è costretto ad attingere alle sue povere riserve, e in particolare alla liquidazione che la Caproni – fabbrica milanese di aerei – è stata infine costretta a versargli, dopo averlo licenziato a causa dell’arresto. Così Mauro scrive il 10 novembre 1940 al fratello Guido:

Io qui continuo a star bene e la salute è ottima. Come già saprai, mi passano £ 6,50 al giorno di ‘mazzetta’ e con queste sono abbonato a due pasti – mezzogiorno e sera -. al Ristorante Nettuno – il quale pasto si compone di una minestra (una fondina) e di una piccola (o polpetta, o spezzatini, o pesce o formaggi o altro, con qualche po’ d’insalata) e un pezzo di pane. Io ora son fortunato che dispongo della liquidazione della Caproni la quale mi servirà per 5-6 mesi ancora a integrare quello che è indispensabile per il nutrimento normale. Spendo in media £ 3 – 3,50 al giorno, compero qualche cosa per far colazione alla mattina, perché a stare dalle ore 18 della sera fino al mezzogiorno del giorno avanti senza ingerire nulla nello stomaco è troppo lunga; fumo per 1 lira al giorno di sigarette e prendo un quarto di vino per pasto, di modo che vengo a spendere (a stare bene abbottonati) una media di 100 lire al mese dei miei.
“Questo mi aiuta molto a stare in salute. Quando saranno finiti… pazienza!”

Un sorriso dal campo di concentramento

Arrestato l’11 giugno 1940 alla Caproni di Milano, dove lavorava, Mauro è inviato al campo di concentramento fascista di Istonio Marina (Vasto, in Abruzzo). La Caproni lo licenzia immediatamente, e non gli paga nemmeno gli stipendi maturati. Mauro rimarrà a Istonio fino al gennaio 1941, quando il direttore del campo scoprirà una organizzazione clandestina da lui diretta insieme a Angelo Pampuri, un altro internato. I due saranno immediatamente trasferiti in punizione al campo di concentramento delle Tremiti, dove Mauro rimarrà segregato fino all’agosto del 1943. Nell’estate del 1940 Mauro invia alla famiglia da Istonio questa foto, nella quale ha quasi l’aria di un villeggiante. Una vela che passa sul mare sembra una piuma del suo cappello; un sorriso gli illumina il volto. A dispetto di questa immagine tranquillizzante, però, le condizioni di vita di Mauro nel campo sono assai dure: praticamente senza risorse economiche, egli fatica a mettere insieme due pasti al giorno. La sua magrezza testimonia delle difficoltà di quegli anni.

In carcere anni di studio fecondo

Per Mauro i lunghi anni del carcere sono molto duri. Le condizioni della famiglia impediscono qualsiasi viaggio fino a Civitavecchia, dove si trova, per una visita. Carlo è in carcere a Portolongone, e i contatti tra i due fratelli sono spesso impediti dai sequestri delle lettere da parte delle rispettive direzioni del carcere. Sono però anche anni di studio fecondo: l’operaio legnanese, che ha imparato il francese nell’emigrazione e che ha condotto uno studio disordinato, da autodidatta, riesce a sfruttare gli anni della forzata inattività per uno studio intenso della storia, della filosofia, della letteratura. Dalla biblioteca del carcere attinge a una serie di grandi classici: Mauro fa sul serio, e non si accontenta di rapide antologie.

Primo presidente dell' ANPI di Legnano

Per vent’anni Pierino Venegoni fu presidente della sezione dell’ANPI di Legnano, intitolata al fratello Mauro, trucidato nel 1944 dalle Camicie nere. In questa immagine vediamo la sua firma in calce alla tessera dell’Associazione partigiana , rilasciata nel 1947 al fratello Carlo.

Il primo comizio della libertà a Legnano

Carlo Venegoni parla al legnanesi da un balcone che dà sulla centralissima Piazza San Magno, al termine della sfilata partigiana. E’ uno dei primissimi comizi dopo la ritrovata libertà. Il palazzo del comizio esiste ancora, così come la farmacia, ancora al suo posto dopo tanti decenni:

La sfilata della liberazione

Guido (a sinistra, con il berretto), Carlo (al centro) e Pierino (a destra della foto) guidano nei primi giorni di maggio del 1945 la sfilata della liberazione che attraversa la loro città, Legnano. Nel tripudio generale sembrano quasi non gioire della ritrovata libertà che pone fine a un intero ventennio di persecuzioni e di privazioni: sono passati solo 6 mesi dall’uccisione di Mauro, e il ricordo di tutti va al fratello selvaggiamente torturato e poi ucciso dalle camicie nere. Al termine del corteo Carlo parlerà nella piazza principale della città: la prima esperienza di democrazia dopo la lunga notte della dittatura.

Coi metalmeccanici in piazza del Duomo

Milano, piazza del Duomo, fine anni Sessanta. Guido Venegoni alla testa di un piccolo gruppo di militanti della FIOM CGIL che portano nel centro le ragioni dello sciopero dei metalmeccanici. Sui cartelli le motivazioni che hanno spinto allo sciopero la categoria, e un appello alla solidarietà.

L' arresto a Vimercate, 11 novembre '44

L'arresto di Guido Venegoni, Eliseo Galliani, Mario Fumagalli

Dai ricordi di Mario Fumagalli: “I partigiani di Ornago, Agrate, Omate, Cambiago e Bellusco”)

L ’11 novembre 1944, in mattinata, nella trattoria del “Valentino”, nei pressi della stazione tranviaria di Vimercate, fummo arrestati io, Guido Venegoni (“Rai”) ed Eliseo Galliani (“Leo”, “Andrea”), classe 1911, di Biassono. Io ricordo benissimo che quell’appuntamento fra noi era stato fissato per esaminare la situazione dell’organizzazione militare della 103a brigata, in quanto dovevano essere sostituiti i due comandanti. La mia presenza era giustificata: in quanto dovevo accompagnare all’appuntamento Guido Venegoni, che era sfollato, sotto falso nome, a Cavenago di Brianza, in via Garibaldi.

Mentre Guido Venegoni ed Eliseo Galliani stavano consultando su un foglio lo schema della nostra brigata, il padrone del negozio ci avvisò che stavano avvicinandosi i fascisti. Si fece appena in tempo a buttare il foglio sul fuoco del camino, che nel locale entrarono i militi della Guardia Nazionale Repubblichina di Vimercate, dichiarandoci in arresto. Il padrone dell’osteria fece anche in tempo ad avvisare del pericolo due partigiani che stavano per recarsi all’appuntamento: uno di loro (nome di battaglia “Rossi”), commissario di tutta la zona e il partigiano “Gigi” Radaelli di Trezzo d’Adda.

Noi tre fummo portati nella Caserma di Vimercate, ove iniziarono gli interrogatori di riconoscimento. In cella, il Galliani mi passò un caricatore intero che aveva ancora con sé; io lo infilai in uno dei miei scarponcini e, dopo aver chiesto di andare ai servizi lo gettai nello scarico. Anche il Venegoni fece sparire dei bigliettini compromettenti, sminuzzandoli e masticandoli. Il Venegoni era da pochi mesi che operava nel Vimercatese (proveniva da un’altra zona, sotto il falso nome di Aldo Frigerio). In caserma i fascisti scoprirono che era di Legnano e fratello di Mauro Venegoni trucidato dai fascisti qualche settimana prima.

A Vimercate siamo stati prelevati dal capo della brigata nera “Montagnoli” di Legnano per essere là fucilati, per rappresaglia, nella Piazza San Magno. Due o tre giorni prima della cattura, un commando di partigiani aveva attaccato diversi posti di blocco a Legnano, a Rho e a Nerviano. A tali azioni aveva partecipato anche il gappista Alberto Gabellini. Nella caserma di Legnano abbiamo sentito i fascisti che dicevano di essere stati informati che tra noi c’era un “colonnello” dei partigiani.

La matricola di Ada Buffulini Bolzano

A Bolzano uomini e donne diventavano numeri. Questi sono il triangolo rosso di deportata politica e il numero di matricola di Ada Buffulini, che nel dopoguerra diverrà la moglie di Carlo Venegoni. L’originale, ritrovato recentemente dopo decenni, si trova ora presso l’Archivio della Fondazione Memoria della Deportazione di Milano.

Il verbale dell'arresto inviato alla Gestapo

"Se ne raccomanda l'invio in campo di concentramento"

GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
Comando Provinciale di Milano

N. 12275/RS/S. di Prot.
U.P.I.

Milano, 2 settembre 1944 XXII

Oggetto: denuncia

Indirizzi Omessi

Questo ufficio Politico Investigativo

Premesso

che in una perquisizione eseguita nella tipografia “LA MILANESE” in Milano, via Carlo Farini 5, si rinvenivano, provvedendo al loro sequestro, giornali e stampe sovversive nonchè licenze per militari, permessi di circolazione “Z” per autoveicoli e clichès con stampigliature” di caratteri sovversivi;

che si provvedeva quindi al fermo di tali POZZOLI Enrico, proprietario della tipografia, COLOMBO Ambrogio, operaio addetto, e GIUDICI Carlo, operaio della FALCK;

che il POZZOLI ha ammesso di aver provveduto, sin dal 10 settembre I943 e di comune accordo col suo operaio COLOMBO Ambrogio, alla stampa nella sua tipografia, per incarico di un certo ROSSI non meglio identificato di alcuni numeri dei giornali “IL LAVORATORE”, “IL COMBATTENTE”, “L’UNITA”, l’opuscolo “I PRINCIPI DEL LENINISMO”, nonchè “Z” false per la circolazione degli autoveicoli e fogli di licenza falsi per militari; e, per conto sempre del ROSSI, il POZZ0LI avrebbe dovuto stampare blocchetti di ricevute del P.C.I .(Partito Comunista Italiano), libretti di viaggio per autoveicoli, nonchè tessere annonarie per tabacchi;

che il GIUDICI Carlo si rivelò poi in effetti come VENEGONI Carlo di Legnano, ex membro del comitato direttivo della Camera del Lavoro di Torino, già condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e già internato politico,

Denuncia

a codesta Direzione di Polizia Politica:

POZZOLI Enrico fu Francesco e fu Restelli Luigia nato a Niguarda il 19 febbraio 1895, coniugato, con due figli, tipografo, ariano, cattolico, domiciliato a Triuggio (fra. Zuccone) con tipografia in via Carlo Farini,5,

COLOMBO Ambrogio, di Angelo e di Lunghini Paolina, nato a Milano il 29.10.1911, coniugato con 1 figlio, tipografo, ariano, cattolico, domiciliato a Milano in via A. Volta 19,

VENEGONI Carlo di Paolo e di Stefanetti Angela, nato a Legnano il 7.5.902, residente a Legnano in via Magenta 41, falegname , celibe, ariano, cattolico, condannato politico,

colpevoli tutti dei reati previsti e puniti dagli art. 305, 110, C.P. 144 C.P.M.G., e dagli art. 249, 266, 270, 82, 81 e 58 C.P., per essersi associati onde cospirare politicamente, per aver concorso reati di diserzione stampando licenze false per militari, per aver concorso stampando appositi blocchetti al sovvenzionamento delle bande armate operanti contro la Repubblica Sociale Italiana, per avere, mediante la stampa delle licenze, agevolato militari a disobbedire alle leggi, per avere concorso nel reato di costituzione ed organizzazione di associazioni sovversive, per avere inoltre contraffatto documenti di autorizzazione per la circolazione di autoveicoli e per avere infine stampato clandestini fogli sovversivi; il tutto con l’aggravante della continuazione.

Gli stessi sono stati associati al locale carcere giudiziario a disposizione di codesta Direzione di Polizia Politica e, quali elementi colpevoli in linea politica e pericolosi per la sicurezza interna, vengono proposti per l’invio in un campo di concentramento.

Si propone che gli imputati vengano nuovamente sottoposti a interrogatori da Codesta Direzione onde cercare di apprendere la vera identità del Rossi che al Pozzoli risulterebbe sconosciuto.

Si allegano i verbali degli interrogatori degli imputati, nonché stampa sovversiva e fogli manoscritti ulteriormente rinvenuti, da aggiungersi ai corpi di reato già depositato presso codesta Direzione.

IL DIRIGENTE L’UFFICIO POLITICO INVESTIGATIVO

F/to Magg. Bossi Ferdinando

IL DIRIGENTE L’UFFICIO POLITICO INVESTIGATIVO

F/to Magg. Bossi Ferdinando

p. c. c.

Il Questore

(Firma illeggibile e timbro della Questura Repubblicana Milano)

Originale presso l’Archivio di stato di Milano, Fondo Gabinetto di Prefettura, II Versamento, cartella 401

Insieme per sempre

Prima di morire Pierino e Carlo Venegoni hanno chiesto di essere sepolti insieme al fratello Mauro nel settore del cimitero di Legnano riservato ai Caduti partigiani. Il loro desiderio è stato esaudito. Le spoglie di Guido sono lì a due passi, accanto a quelle della moglie, della sorella Gina e dei genitori.

L'attività di Ada Buffulini a Bolzano

Uno dei messaggi scritti dall’interno del campo di Bolzano da Ada Buffulini, per lunghi mesi coordinatrice del comitato clandestino di resistenza. Ada, medico, era assegnata all’infermeria del Lager e godeva di una relativa libertà di movimento. Conosceva molto bene il tedesco, e questo le facilitava i rapporti con la gerarchia del campo.  Per mesi, dal settembre 1944 al gennaio 1945 ha organizzato dall’interno l’invio di viveri e indumenti agli internati più bisognosi (i pacchi di cui si parla anche in questo biglietto), specie in vista dei trasporti verso la Germania (“la partenza” cui si fa cenno all’inizio del messaggio).
Scoperta l’organizzazione i suoi componenti più in vista furono richiusi nelle “celle”, il carcere del Lager, in vista della deportazione in Germania. I bombardamenti alleati sulla linea del Brennero interruppero però i collegamenti ferroviari col nord, e Ada restò nelle famigerate celle fino alla liquidazione del Lager, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945.

I messaggi di Ada erano indirizzati a Ferdinando Visco Gilardi (nome “di battaglia”: Giacomo), che dall’esterno coordinava l’attività di assistenza. Visco Gilardi fu a sua volta arrestato, torturato e rinchiuso nelle celle. Ma aveva nascosto in luogo sicuro i biglietti ricevuti da Ada, da Laura Conti e dagli altri coraggiosi animatori del comitato clandestino. In questo modo questa straordinaria corrispondenza è giunta fino a noi.Scoperta l’organizzazione i suoi componenti più in vista furono richiusi nelle “celle”, il carcere del Lager, in vista della deportazione in Germania. I bombardamenti alleati sulla linea del Brennero interruppero però i collegamenti ferroviari col nord, e Ada restò nelle famigerate celle fino alla liquidazione del Lager, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945.

La fuga dal Lager di Bolzano

Anche dall’interno del campo di Bolzano, Carlo riesce a mantenere i collegamenti con il suo gruppo, a Legnano, attraverso un fitto scambio di biglietti affidati a deportati che andavano a lavorare all’esterno. Costoro, con grandissimo rischio personale, eludendo la sorveglianza delle SS, consegnavano i biglietti clandestini a lavoratori liberi, e questi infine li recapitavano a chi di dovere. Grazie a questi contatti Carlo organizza in poche settimane la propria fuga.
Il piano è apparentemente semplicissimo. Ma in caso di fallimento, come molti drammatici episodi hanno dimostrato, la pena è la tortura e la morte per mano degli aguzzini del Lager.

Il 25 di ottobre falsi agenti si presentano al campo di Bolzano, con un ordine di trasferimento per il detenuto Carlo Venegoni. I documenti sembrano in ordine, e le SS rilasciano il prigioniero. Una macchina attende a poca distanza: la fuga è riuscita, in poche ore Carlo è di nuovo a Milano. Del tentativo ovviamente nessuno era stato in precedenza messo al corrente. Nemmeno Ada, che scrive a Visco Gilardi un biglietto in cui dimostra di avere sostanzialmente compreso quanto è avvenuto. I due non si rivedranno che il 25 settembre 1945, diversi mesi dopo la fine della guerra. Il biglietto clandestino scritto da Ada a Visco Gilardi è importante da molteplici punti di vista. Intanto dimostra la efficienza del sistema di comunicazione da dentro a fuori il campo (e viceversa) organizzato dalla Resistenza a Bolzano: i messaggi nelle due direzioni sono quasi quotidiani. In secondo luogo testimonia dello sforzo immane che l’organizzazione clandestina fa per fornire di soldi (5M sta evidentemente per 5.000 lire di allora, il 1944!), di abiti e alimenti (i pacchi menzionati alla fine) i deportati che rischiavano ogni giorno di partire per la Germania. Infine perché conferma che Ada, futura moglie di Carlo, del tentativo di fuga non sapeva alcunché. Il che non le impedì di comprendere quanto era davvero avvenuto, e cioè che Carlo aveva organizzato la fuga con la propria organizzazione (“Certi suoi amici”, scrive Ada).

Un legnanese a Messina

La foto segnaletica di Mauro, scattata nei locali della Questura al momento dell’arresto, mostra un giovane precocemente invecchiato. Mauro dimostra più dei suoi 29 anni scarsi. Le privazioni, il durissimo lavoro, la lunga clandestinità lo hanno logorato.

ALL’UFFICIO DI PUBBLICA SICUREZZA DI LEGNANO

In esito al foglio sopradistinto comunicasi che l’individuo in oggetto risulta di buona condotta morale. Non così può dirsi per la condotta politica, in quanto risulta uno dei più ferventi comunisti di Legnano, e tale sua idea tuttora ostinatamente e apertamente professa.
Occultamente svolge attiva propaganda sovversiva fra i suoi compagni di fede. È individuo molto scaltro, sfugge sempre alla sorveglianza degli Agenti della forza pubblica ed alle responsabilità penali in virtù soltanto della sufficiente scaltrezza di cui è dotato.
È nemico acerrimo del Regime e del Governo Fascista, contro il quale esercita una intensa propaganda.
Di mestiere lattoniere potrebbe lavorare a Legnano, magari anche per proprio conto, ma preferisce emigrare e lavorare in grandi stabilimenti ove, essendo meno vigilato – perché poco conosciuto alla Polizia – può svolgere intensa propaganda fra la numerosa massa operaia.
È politicamente individuo veramente pericoloso all’Ordine Nazionale, e quindi si esprime parere favorevole affinché venga assegnato al confino, giusta il disposto dell’Articolo 184 della nuova legge di Pubblica Sicurezza.
IL TENENTE
COMANDANTE DELLA TENENZA

(Amisano Giuseppe)

 

Visco Gilardi sarà infine scoperto nel dicembre 1944, torturato dalle SS e rinchiuso egli stesso nel campo. Il suo posto sarà preso però subito da Franca Turra*, che sotto il nome di copertura di “Anita” tirerà le fila del lavoro di un gruppo di coraggiosi che proseguirà il lavoro di assistenza ai deportati fino alla liberazione del Lager. Ada trascorrerà gli ultimi mesi della guerra nelle celle, le orribili prigioni del Lager, dove ogni notte sfogavano i loro istinti sadici le due famigerate SS ucraine, Michael Seifert e Otto Sein. Carlo, invece, già alla fine di ottobre del 1944 riesce a organizzare la propria fuga e a tornare a Milano.

La resistenza nel Lager di Bolzano

Carlo e Ada si impegnano immediatamente in una attività clandestina di resistenza: nel comitato lei rappresenta il PSI e lui il PCI. Con loro ci sono anche il rappresentante cattolico e quello liberale, come nel CLN. Attraverso un fitto scambio di corrispondenza, gestito a rischio della vita da un nutrito gruppo di persone, l’organizzazione clandestina interna tiene i collegamenti con Ferdinando Visco Gilardi, che coordina l’attività di assistenza da fuori su incarico del CLN di Milano.

Il libro matricola di San Vittore

Il libro matricola di San Vittore, conservato in originale all’Archivio di Stato di Milano, spiega passo passo il tragitto – davvero brevissimo – che un detenuto politico italiano compiva dall’arresto ad opera delle autorità repubblichine alla partenza per i Lager nazisti. Carlo, si legge, è stato arrestato a Milano il 28 agosto ’44 e fino al 3 settembre è stato trattenuto dall’UPI – l’Ufficio Politico Investigativo. Il 3 settembre è entrato a San Vittore e immatricolato col numero 5627.  Il 6 settembre, “in seguito a un ordine del Comando Tedesco” è trasferito a disposizione della Gestapo nel reparto tedesco. Basta, i repubblichini avevano esaurito il loro compito, e da quel punto in avanti si disinteressavano del detenuto.

"Acerrimo nemico del Regime" (Originale all'Archivio di Stato di Milano)

(Originale all'Archivio di Stato di Milano)

LEGIONE TERRITORIALE DEI CARABINIERI REALI DI MILANO

Risposto al foglio N° 239 dell’11 Dicembre 1926
Oggetto: Mauro Venegoni di Paolo e di Stefanetti Angela

 

ALL’UFFICIO DI PUBBLICA SICUREZZA DI LEGNANO

In esito al foglio sopradistinto comunicasi che l’individuo in oggetto risulta di buona condotta morale. Non così può dirsi per la condotta politica, in quanto risulta uno dei più ferventi comunisti di Legnano, e tale sua idea tuttora ostinatamente e apertamente professa.
Occultamente svolge attiva propaganda sovversiva fra i suoi compagni di fede. È individuo molto scaltro, sfugge sempre alla sorveglianza degli Agenti della forza pubblica ed alle responsabilità penali in virtù soltanto della sufficiente scaltrezza di cui è dotato.
È nemico acerrimo del Regime e del Governo Fascista, contro il quale esercita una intensa propaganda.
Di mestiere lattoniere potrebbe lavorare a Legnano, magari anche per proprio conto, ma preferisce emigrare e lavorare in grandi stabilimenti ove, essendo meno vigilato – perché poco conosciuto alla Polizia – può svolgere intensa propaganda fra la numerosa massa operaia.
È politicamente individuo veramente pericoloso all’Ordine Nazionale, e quindi si esprime parere favorevole affinché venga assegnato al confino, giusta il disposto dell’Articolo 184 della nuova legge di Pubblica Sicurezza.
IL TENENTE
COMANDANTE DELLA TENENZA

(Amisano Giuseppe)

 

Il giorno del matrimonio tra Ada e Carlo

Per 5 anni, dal 1943 e il 1947, Ada Buffulini ha tenuto un diario quotidiano. Questo diario è oggi un documento straordinario che testimonia di una passione senza limiti, che conduce Ada prima a impegnarsi in numerosissime attività politiche e culturali, poi a entrare in clandestinità per lavorare a tempo pieno per la Resistenza fino all’arresto, il 4 luglio 1944, in una casa milanese, e alla deportazione nel campo di Bolzano. Liberata alla fine della guerra, Ada riprende l’attività professionale di medico e il suo lavoro politico. E’ un impegno che non lascia spazio a null’altro, neppure a un minimo di vita privata. Il diario registra gli avvenimenti del 4 luglio 1946, giorno del matrimonio tra Ada e Carlo a Legnano: è un giorno praticamente come gli altri, con la giornata scandita da una serie di impegni politici, fino a notte.
Il particolare del diario di Ada Buffulini, con le annotazioni del 4 luglio 1946: tra una riunione e l’altra, anche il giorno del matrimonio è quasi un giorno come tutti gli altri. “Giovedì 4 luglio 1946 – Ore 8,30 matrimonio a Legnano. Ritorno subito a Milano; pranzo rist. da sola; pom. da Lisli (esponente socialista,  moglie di Lelio Basso, NdR) poi in federazione; cena in latteria; sera assemblea Porta Vittoria; notte a casa con Carlo”.

Il giorno dell'arresto di Ada

Il 4 luglio 1944 Ada Buffulini andò in casa di Maria Arata per un incontro con un gruppo di giovani desiderosi di conoscere l’organizzazione e le idee del Partito socialista clandestino. Una riunione a rischio, con giovani di cui non si sapeva molto. Ma non si potevano deludere le aspettative di un gruppo che avrebbe potuto in seguito dare un contributo importante al partito in un momento tanto delicato. Ada si presentò all’appuntamento, che si rivelò fatale: qualcuno aveva parlato troppo, o una spia aveva lavorato bene. Fatto sta che l’intero gruppo fu arrestato e condotto a San Vittore. Nel libro matricola di San Vittore (il cui originale è conservato all’Archivio di stato di Milano) c’è la scheda di Ada, da lei controfirmata. Ada è “isolata”, a disposizione dell’Ufficio Investigativo. La scheda successiva, di cui si vedono solo le prime righe, è quella di Maria Arata.

1940: Campo di concentramento di Colfiorito

Carlo Venegoni (il primo da sinistra) nel campo di concentramento di Colfiorito (PG) nel settembre 1940, insieme a altri 8 detenuti. Si riconoscono, da sinistra a destra, in piedi: Carlo Venegoni, Lelio Basso, Dario Fieramonte, Ugo Fedeli, Tarcisio Robbiati. Eugenio Musolino; in basso: Agostino Fumagalli, Luigi Meregalli e Vito Bellaveduta. Attorno a questa fotografia, ripresa dalla mostra dedicata ai 4 fratelli Venegoni, si è sviluppato il progetto delconvegno storico del 4 novembre 2003 a Foligno (PG). Gli atti di quel convegno sono ora pubblicati: Olga Lucchi (a cura di), Dall’internamento alla libertà, il campo di concentramento di Colfiorito, Editoriale Umbra/ISUC, Foligno 2004.