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Il ragazzo arrivato col barcone

L’inizio non è stato brillante. Poco dopo la stazione di Verona è salito sul treno un ragazzo africano, che per farsi posto ha provato a spostare il computer col quale volevo lavorare. Gli ho detto un po’ seccato di lasciar perdere, che avrei sistemato io.

Dopo qualche minuto mi ha chiesto se parlavo inglese. Tra il suo inglese stentato e il mio anche più stentato abbiamo cominciato a chiacchierare.

Siamo in Germania?, mi ha chiesto quando non eravamo ancora a Trento. La mia risposta negativa l’ha evidentemente deluso.

Doveva avere meno di trent’anni. L’ho guardato meglio e gli ho chiesto da dove venisse. Da Khartoum, ha risposto. Stava andando a Monaco di Baviera, dove lo aspettava il fratello.

E quando sei arrivato in Italia? La settimana scorsa. Poi, di fila: non è stato facile. Sono partito mesi fa, un lungo tragitto con ogni mezzo. Anche a piedi? Oh, sì, anche a piedi, giorni e giorni di cammino. E poi la Libia. E poi il mare. In mare è stata molto dura, ma siamo arrivati tutti, per fortuna.

Sul treno, in direzione di Bolzano, avevo insomma come compagno di viaggio uno dei disperati che arrivano su quei barconi che molti razzisti da noi vorrebbero affondare, e che purtroppo spesso affondano anche da soli.

Sei sposato? No, no, ma in Germania spero di sistemarmi. A Khartoum non era vita, era impossibile restare. Nessuna speranza per me, nessun futuro.

E il tedesco lo sai? No, ma voglio lavorare e lo imparerò.

Quanto verde, ha detto a un certo punto guardando fuori dal finestrino nella campagna trentina, tra le viti e i meli. A Khartoum è tutto bruciato, non ci sono raccolti, troppo caldo, troppo secco. A luglio si superano i 44, 45 gradi, non si riesce a far niente. Si resiste solo con l’aria condizionata. Conosci l’aria condizionata?, mi ha chiesto, non immaginando forse che noi la facciamo andare a manetta per molto meno dei suoi 44 gradi.

Guardava fuori in silenzio tutto quel verde sotto la pioggia battente, e si vedeva che aveva il pensiero altrove.

Però hai studiato, l’inglese lo conosci, ho buttato lì, per riprendere il discorso e distrarlo un po’. Ho fatto una scuola tecnica, sì, e ho studiato l’inglese. E che lavori speri di fare in Germania? Non so, mio fratello ha detto che mi aiuterà, qualcosa farò. E quando mi sarò sistemato faremo venire anche nostra sorella: non può stare là.

Hai altri parenti a casa? Ci sono i genitori, ma loro hanno detto che non si muoveranno. Sono nati lì, pensano che non si abituerebbero in Europa.

Passata Trento, ancora la domanda: Siamo in Germania? Gli ho detto che eravamo in Italia, e che comunque prima della Germania, oltre il Brennero, c’è ancora l’Austria. Mi è sembrato che l’Austria non l’avesse mai sentita nominare.

E’ passata una controllora tedesca e lui ha esibito il suo biglietto. A me invece la controllora ha fatto una scenata perché il mio era un biglietto elettronico italiano, e quelle erano ferrovie tedesche. Il mio compagno mi sembrava divertito: lui appena arrivato in regola e io, italiano garantito, così malamente apostrofato.

Mi ha offerto degli snack che aveva in un sacchetto di plastica, e io a lui uno di quei succhi di frutta da passeggiata, nel contenitore di plastica. Ha strizzato gli occhi di fronte a un sapore nuovo, ma educatamente ha detto: Buono! Con un sorriso.

Mentre cincischiavo il cellulare l’ho visto alzarsi di fretta, senza una parola, e allontanarsi.

Solo qualche minuto più tardi ho visto che una folta pattuglia mista di agenti di polizia italiani e austriaci stava setacciando il treno, chiedendo i documenti ai passeggeri.

Eritreo? Venga con noi.

Un piccolo gruppo di persone giovani, seguiva, senza una parola. Tra gli altri una ragazza magnifica, con gli occhi nerissimi spaventati.

Nessuno parlava. Ma quando sono arrivati a me gli agenti hanno proseguito senza neanche degnarmi di uno sguardo. Non era agli italiani che si controllavano i documenti.

In terra, al posto del mio compagno di viaggio, era rimasto il sacchetto di plastica con gli snack e una bottiglietta d’acqua.

Dopo qualche minuto lui è tornato e si è seduto in silenzio al suo posto. Doveva essere lui quello che si era chiuso nel bagno, e che non ha aperto agli agenti.

Tutto bene? Spero, è stata la risposta.

Quelli controllavano i passaporti. Tu ce l’hai un passaporto con te? Sì, sì: ho il mio passaporto.

Certo, deficiente: non sono i passaporti che mancano a questi poveretti, ma i visti, i permessi di stare qui e di spostarsi altrove.

Per un po’ siano stati in silenzio. Poi lui è tornato a commentare il paesaggio e abbiamo scambiato qualche parola.

A un certo punto si è tirato sul capo il cappuccio della felpa. Dopo un po’, effettivamente, sono comparsi alle nostre spalle gli agenti di polizia. Tra me e me ho riflettuto sulla sensibilità da animale braccato che dimostrava il mio vicino, che avvertiva la presenza dei poliziotti con così largo anticipo rispetto a me. Chissà da quanto tempo scappa per sfuggire ai controlli di frontiera, inseguendo il sogno di arrivare da suo fratello.

La pattuglia è passata avanti, poi un agente ha avuto quasi un ripensamento: tornato indietro si è piantato a fianco dei nostri posti e ha chiesto cortesemente al mio vicino se poteva seguirlo per controlli.

Lui ha preso il suo sacchetto – non aveva altro bagaglio – e si è alzato. Ho avuto solo il tempo di dirgli Buona fortuna prima di perderlo di vista.

Mi sono guardato in giro. Chissà se tra gli altri viaggiatori dello scompartimento c’era anche chi aveva organizzato quel viaggio e magari comprato i biglietti: lo “scafista” del treno.

A Bolzano, dove sono sceso, ho visto che il gruppo degli eritrei è stato fatto scendere. Ho atteso sulla banchina per un po’, per vedere se scendeva anche il mio compagno sudanese, ma non l’ho visto.

Mi sono avviato all’uscita. Non gli ho neanche chiesto il nome, ho pensato. E un senso di disagio e di vergogna non mi ha più abbandonato.

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Un commento

  1. Da pendolare ogni giorno viaggio con questi ragazzi, ma non ho mai parlato con nessuno di loro e le loro vite durano solo il tempo del viaggio. Come la mia per loro

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Medaglia d'Oro al Valor Militare

Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria di Mauro Venegoni:

Venegoni Mauro, nato a Legnano (Milano) il 4 Ottobre 1903. Ardente patriota era tra i primi a costituire le formazioni partigiane nella sua zona partecipando con esse per oltre un anno a numerosi combattimenti, sempre distinguendosi per capacità e coraggio. Catturato veniva sottoposto alle più atroci torture, ma nulla rivelava che potesse tradire i commilitoni e la Resistenza. La sua indomabile fede non veniva scossa nemmeno allorché il nemico ne straziava barbaramente il volto ed il corpo, accecandolo prima e poi uccidendolo. Luminoso esempio di sublime sacrificio e di ardente amor di Patria. Valle Olona – Busto Arsizio, 8 Settembre 1943 – 31 Ottobre 1944“.

I solenni funerali di Mauro

Il 25 ottobre 1945, a un anno quasi esatto dal martirio di Mauro, il corpo martoriato del caduto viene accompagnato con un interminabile corteo a Busto Arsizio e infine a Legnano, dove viene sepolto nel campo del cimitero riservato ai partigiani. Il feretro è seguito da un’enorme folla, in un clima di vivissima emozione. Diversi decenni dopo prima  Pierino (scomparso nel 1965) e poi Carlo (morto nel 1983) saranno sepolti accanto al fratello ucciso dalle camicie nere

Il cippo sul luogo del ritrovamento del corpo

Sul luogo dove il corpo martoriato di Mauro fu abbandonato, sulla strada tra Cassano Magnago e Legnano, sorge un cippo commemorativo. Tutti gli anni, nella domenica più vicina al 31 ottobre, centinaia di persone si ritrovano in una manifestazione unitaria antifascista.

La "vacanza" di Mauro a Istonio

Mussolini? Non ha mai ammazzato nessuno.
Al massimo mandava la gente a fare vacanza al confino

Silvio Berlusconi, settembre 2003

Nelle lettere ai fratelli, Mauro minimizza  le difficoltà della sua vita di internato, ma il resoconto che fa della sua vita non lascia molto spazio ai dubbi. Impossibilitato a lavorare, il recluso è costretto a vivere con un sussidio di 6,50 lire al giorno, che non gli garantisce neppure il minimo indispensabile. Ed è costretto ad attingere alle sue povere riserve, e in particolare alla liquidazione che la Caproni – fabbrica milanese di aerei – è stata infine costretta a versargli, dopo averlo licenziato a causa dell’arresto. Così Mauro scrive il 10 novembre 1940 al fratello Guido:

Io qui continuo a star bene e la salute è ottima. Come già saprai, mi passano £ 6,50 al giorno di ‘mazzetta’ e con queste sono abbonato a due pasti – mezzogiorno e sera -. al Ristorante Nettuno – il quale pasto si compone di una minestra (una fondina) e di una piccola (o polpetta, o spezzatini, o pesce o formaggi o altro, con qualche po’ d’insalata) e un pezzo di pane. Io ora son fortunato che dispongo della liquidazione della Caproni la quale mi servirà per 5-6 mesi ancora a integrare quello che è indispensabile per il nutrimento normale. Spendo in media £ 3 – 3,50 al giorno, compero qualche cosa per far colazione alla mattina, perché a stare dalle ore 18 della sera fino al mezzogiorno del giorno avanti senza ingerire nulla nello stomaco è troppo lunga; fumo per 1 lira al giorno di sigarette e prendo un quarto di vino per pasto, di modo che vengo a spendere (a stare bene abbottonati) una media di 100 lire al mese dei miei.
“Questo mi aiuta molto a stare in salute. Quando saranno finiti… pazienza!”

Un sorriso dal campo di concentramento

Arrestato l’11 giugno 1940 alla Caproni di Milano, dove lavorava, Mauro è inviato al campo di concentramento fascista di Istonio Marina (Vasto, in Abruzzo). La Caproni lo licenzia immediatamente, e non gli paga nemmeno gli stipendi maturati. Mauro rimarrà a Istonio fino al gennaio 1941, quando il direttore del campo scoprirà una organizzazione clandestina da lui diretta insieme a Angelo Pampuri, un altro internato. I due saranno immediatamente trasferiti in punizione al campo di concentramento delle Tremiti, dove Mauro rimarrà segregato fino all’agosto del 1943. Nell’estate del 1940 Mauro invia alla famiglia da Istonio questa foto, nella quale ha quasi l’aria di un villeggiante. Una vela che passa sul mare sembra una piuma del suo cappello; un sorriso gli illumina il volto. A dispetto di questa immagine tranquillizzante, però, le condizioni di vita di Mauro nel campo sono assai dure: praticamente senza risorse economiche, egli fatica a mettere insieme due pasti al giorno. La sua magrezza testimonia delle difficoltà di quegli anni.

In carcere anni di studio fecondo

Per Mauro i lunghi anni del carcere sono molto duri. Le condizioni della famiglia impediscono qualsiasi viaggio fino a Civitavecchia, dove si trova, per una visita. Carlo è in carcere a Portolongone, e i contatti tra i due fratelli sono spesso impediti dai sequestri delle lettere da parte delle rispettive direzioni del carcere. Sono però anche anni di studio fecondo: l’operaio legnanese, che ha imparato il francese nell’emigrazione e che ha condotto uno studio disordinato, da autodidatta, riesce a sfruttare gli anni della forzata inattività per uno studio intenso della storia, della filosofia, della letteratura. Dalla biblioteca del carcere attinge a una serie di grandi classici: Mauro fa sul serio, e non si accontenta di rapide antologie.

Primo presidente dell' ANPI di Legnano

Per vent’anni Pierino Venegoni fu presidente della sezione dell’ANPI di Legnano, intitolata al fratello Mauro, trucidato nel 1944 dalle Camicie nere. In questa immagine vediamo la sua firma in calce alla tessera dell’Associazione partigiana , rilasciata nel 1947 al fratello Carlo.

Il primo comizio della libertà a Legnano

Carlo Venegoni parla al legnanesi da un balcone che dà sulla centralissima Piazza San Magno, al termine della sfilata partigiana. E’ uno dei primissimi comizi dopo la ritrovata libertà. Il palazzo del comizio esiste ancora, così come la farmacia, ancora al suo posto dopo tanti decenni:

La sfilata della liberazione

Guido (a sinistra, con il berretto), Carlo (al centro) e Pierino (a destra della foto) guidano nei primi giorni di maggio del 1945 la sfilata della liberazione che attraversa la loro città, Legnano. Nel tripudio generale sembrano quasi non gioire della ritrovata libertà che pone fine a un intero ventennio di persecuzioni e di privazioni: sono passati solo 6 mesi dall’uccisione di Mauro, e il ricordo di tutti va al fratello selvaggiamente torturato e poi ucciso dalle camicie nere. Al termine del corteo Carlo parlerà nella piazza principale della città: la prima esperienza di democrazia dopo la lunga notte della dittatura.

Coi metalmeccanici in piazza del Duomo

Milano, piazza del Duomo, fine anni Sessanta. Guido Venegoni alla testa di un piccolo gruppo di militanti della FIOM CGIL che portano nel centro le ragioni dello sciopero dei metalmeccanici. Sui cartelli le motivazioni che hanno spinto allo sciopero la categoria, e un appello alla solidarietà.

L' arresto a Vimercate, 11 novembre '44

L'arresto di Guido Venegoni, Eliseo Galliani, Mario Fumagalli

Dai ricordi di Mario Fumagalli: “I partigiani di Ornago, Agrate, Omate, Cambiago e Bellusco”)

L ’11 novembre 1944, in mattinata, nella trattoria del “Valentino”, nei pressi della stazione tranviaria di Vimercate, fummo arrestati io, Guido Venegoni (“Rai”) ed Eliseo Galliani (“Leo”, “Andrea”), classe 1911, di Biassono. Io ricordo benissimo che quell’appuntamento fra noi era stato fissato per esaminare la situazione dell’organizzazione militare della 103a brigata, in quanto dovevano essere sostituiti i due comandanti. La mia presenza era giustificata: in quanto dovevo accompagnare all’appuntamento Guido Venegoni, che era sfollato, sotto falso nome, a Cavenago di Brianza, in via Garibaldi.

Mentre Guido Venegoni ed Eliseo Galliani stavano consultando su un foglio lo schema della nostra brigata, il padrone del negozio ci avvisò che stavano avvicinandosi i fascisti. Si fece appena in tempo a buttare il foglio sul fuoco del camino, che nel locale entrarono i militi della Guardia Nazionale Repubblichina di Vimercate, dichiarandoci in arresto. Il padrone dell’osteria fece anche in tempo ad avvisare del pericolo due partigiani che stavano per recarsi all’appuntamento: uno di loro (nome di battaglia “Rossi”), commissario di tutta la zona e il partigiano “Gigi” Radaelli di Trezzo d’Adda.

Noi tre fummo portati nella Caserma di Vimercate, ove iniziarono gli interrogatori di riconoscimento. In cella, il Galliani mi passò un caricatore intero che aveva ancora con sé; io lo infilai in uno dei miei scarponcini e, dopo aver chiesto di andare ai servizi lo gettai nello scarico. Anche il Venegoni fece sparire dei bigliettini compromettenti, sminuzzandoli e masticandoli. Il Venegoni era da pochi mesi che operava nel Vimercatese (proveniva da un’altra zona, sotto il falso nome di Aldo Frigerio). In caserma i fascisti scoprirono che era di Legnano e fratello di Mauro Venegoni trucidato dai fascisti qualche settimana prima.

A Vimercate siamo stati prelevati dal capo della brigata nera “Montagnoli” di Legnano per essere là fucilati, per rappresaglia, nella Piazza San Magno. Due o tre giorni prima della cattura, un commando di partigiani aveva attaccato diversi posti di blocco a Legnano, a Rho e a Nerviano. A tali azioni aveva partecipato anche il gappista Alberto Gabellini. Nella caserma di Legnano abbiamo sentito i fascisti che dicevano di essere stati informati che tra noi c’era un “colonnello” dei partigiani.

La matricola di Ada Buffulini Bolzano

A Bolzano uomini e donne diventavano numeri. Questi sono il triangolo rosso di deportata politica e il numero di matricola di Ada Buffulini, che nel dopoguerra diverrà la moglie di Carlo Venegoni. L’originale, ritrovato recentemente dopo decenni, si trova ora presso l’Archivio della Fondazione Memoria della Deportazione di Milano.

Il verbale dell'arresto inviato alla Gestapo

"Se ne raccomanda l'invio in campo di concentramento"

GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
Comando Provinciale di Milano

N. 12275/RS/S. di Prot.
U.P.I.

Milano, 2 settembre 1944 XXII

Oggetto: denuncia

Indirizzi Omessi

Questo ufficio Politico Investigativo

Premesso

che in una perquisizione eseguita nella tipografia “LA MILANESE” in Milano, via Carlo Farini 5, si rinvenivano, provvedendo al loro sequestro, giornali e stampe sovversive nonchè licenze per militari, permessi di circolazione “Z” per autoveicoli e clichès con stampigliature” di caratteri sovversivi;

che si provvedeva quindi al fermo di tali POZZOLI Enrico, proprietario della tipografia, COLOMBO Ambrogio, operaio addetto, e GIUDICI Carlo, operaio della FALCK;

che il POZZOLI ha ammesso di aver provveduto, sin dal 10 settembre I943 e di comune accordo col suo operaio COLOMBO Ambrogio, alla stampa nella sua tipografia, per incarico di un certo ROSSI non meglio identificato di alcuni numeri dei giornali “IL LAVORATORE”, “IL COMBATTENTE”, “L’UNITA”, l’opuscolo “I PRINCIPI DEL LENINISMO”, nonchè “Z” false per la circolazione degli autoveicoli e fogli di licenza falsi per militari; e, per conto sempre del ROSSI, il POZZ0LI avrebbe dovuto stampare blocchetti di ricevute del P.C.I .(Partito Comunista Italiano), libretti di viaggio per autoveicoli, nonchè tessere annonarie per tabacchi;

che il GIUDICI Carlo si rivelò poi in effetti come VENEGONI Carlo di Legnano, ex membro del comitato direttivo della Camera del Lavoro di Torino, già condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e già internato politico,

Denuncia

a codesta Direzione di Polizia Politica:

POZZOLI Enrico fu Francesco e fu Restelli Luigia nato a Niguarda il 19 febbraio 1895, coniugato, con due figli, tipografo, ariano, cattolico, domiciliato a Triuggio (fra. Zuccone) con tipografia in via Carlo Farini,5,

COLOMBO Ambrogio, di Angelo e di Lunghini Paolina, nato a Milano il 29.10.1911, coniugato con 1 figlio, tipografo, ariano, cattolico, domiciliato a Milano in via A. Volta 19,

VENEGONI Carlo di Paolo e di Stefanetti Angela, nato a Legnano il 7.5.902, residente a Legnano in via Magenta 41, falegname , celibe, ariano, cattolico, condannato politico,

colpevoli tutti dei reati previsti e puniti dagli art. 305, 110, C.P. 144 C.P.M.G., e dagli art. 249, 266, 270, 82, 81 e 58 C.P., per essersi associati onde cospirare politicamente, per aver concorso reati di diserzione stampando licenze false per militari, per aver concorso stampando appositi blocchetti al sovvenzionamento delle bande armate operanti contro la Repubblica Sociale Italiana, per avere, mediante la stampa delle licenze, agevolato militari a disobbedire alle leggi, per avere concorso nel reato di costituzione ed organizzazione di associazioni sovversive, per avere inoltre contraffatto documenti di autorizzazione per la circolazione di autoveicoli e per avere infine stampato clandestini fogli sovversivi; il tutto con l’aggravante della continuazione.

Gli stessi sono stati associati al locale carcere giudiziario a disposizione di codesta Direzione di Polizia Politica e, quali elementi colpevoli in linea politica e pericolosi per la sicurezza interna, vengono proposti per l’invio in un campo di concentramento.

Si propone che gli imputati vengano nuovamente sottoposti a interrogatori da Codesta Direzione onde cercare di apprendere la vera identità del Rossi che al Pozzoli risulterebbe sconosciuto.

Si allegano i verbali degli interrogatori degli imputati, nonché stampa sovversiva e fogli manoscritti ulteriormente rinvenuti, da aggiungersi ai corpi di reato già depositato presso codesta Direzione.

IL DIRIGENTE L’UFFICIO POLITICO INVESTIGATIVO

F/to Magg. Bossi Ferdinando

IL DIRIGENTE L’UFFICIO POLITICO INVESTIGATIVO

F/to Magg. Bossi Ferdinando

p. c. c.

Il Questore

(Firma illeggibile e timbro della Questura Repubblicana Milano)

Originale presso l’Archivio di stato di Milano, Fondo Gabinetto di Prefettura, II Versamento, cartella 401

Insieme per sempre

Prima di morire Pierino e Carlo Venegoni hanno chiesto di essere sepolti insieme al fratello Mauro nel settore del cimitero di Legnano riservato ai Caduti partigiani. Il loro desiderio è stato esaudito. Le spoglie di Guido sono lì a due passi, accanto a quelle della moglie, della sorella Gina e dei genitori.

L'attività di Ada Buffulini a Bolzano

Uno dei messaggi scritti dall’interno del campo di Bolzano da Ada Buffulini, per lunghi mesi coordinatrice del comitato clandestino di resistenza. Ada, medico, era assegnata all’infermeria del Lager e godeva di una relativa libertà di movimento. Conosceva molto bene il tedesco, e questo le facilitava i rapporti con la gerarchia del campo.  Per mesi, dal settembre 1944 al gennaio 1945 ha organizzato dall’interno l’invio di viveri e indumenti agli internati più bisognosi (i pacchi di cui si parla anche in questo biglietto), specie in vista dei trasporti verso la Germania (“la partenza” cui si fa cenno all’inizio del messaggio).
Scoperta l’organizzazione i suoi componenti più in vista furono richiusi nelle “celle”, il carcere del Lager, in vista della deportazione in Germania. I bombardamenti alleati sulla linea del Brennero interruppero però i collegamenti ferroviari col nord, e Ada restò nelle famigerate celle fino alla liquidazione del Lager, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945.

I messaggi di Ada erano indirizzati a Ferdinando Visco Gilardi (nome “di battaglia”: Giacomo), che dall’esterno coordinava l’attività di assistenza. Visco Gilardi fu a sua volta arrestato, torturato e rinchiuso nelle celle. Ma aveva nascosto in luogo sicuro i biglietti ricevuti da Ada, da Laura Conti e dagli altri coraggiosi animatori del comitato clandestino. In questo modo questa straordinaria corrispondenza è giunta fino a noi.Scoperta l’organizzazione i suoi componenti più in vista furono richiusi nelle “celle”, il carcere del Lager, in vista della deportazione in Germania. I bombardamenti alleati sulla linea del Brennero interruppero però i collegamenti ferroviari col nord, e Ada restò nelle famigerate celle fino alla liquidazione del Lager, tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945.

La fuga dal Lager di Bolzano

Anche dall’interno del campo di Bolzano, Carlo riesce a mantenere i collegamenti con il suo gruppo, a Legnano, attraverso un fitto scambio di biglietti affidati a deportati che andavano a lavorare all’esterno. Costoro, con grandissimo rischio personale, eludendo la sorveglianza delle SS, consegnavano i biglietti clandestini a lavoratori liberi, e questi infine li recapitavano a chi di dovere. Grazie a questi contatti Carlo organizza in poche settimane la propria fuga.
Il piano è apparentemente semplicissimo. Ma in caso di fallimento, come molti drammatici episodi hanno dimostrato, la pena è la tortura e la morte per mano degli aguzzini del Lager.

Il 25 di ottobre falsi agenti si presentano al campo di Bolzano, con un ordine di trasferimento per il detenuto Carlo Venegoni. I documenti sembrano in ordine, e le SS rilasciano il prigioniero. Una macchina attende a poca distanza: la fuga è riuscita, in poche ore Carlo è di nuovo a Milano. Del tentativo ovviamente nessuno era stato in precedenza messo al corrente. Nemmeno Ada, che scrive a Visco Gilardi un biglietto in cui dimostra di avere sostanzialmente compreso quanto è avvenuto. I due non si rivedranno che il 25 settembre 1945, diversi mesi dopo la fine della guerra. Il biglietto clandestino scritto da Ada a Visco Gilardi è importante da molteplici punti di vista. Intanto dimostra la efficienza del sistema di comunicazione da dentro a fuori il campo (e viceversa) organizzato dalla Resistenza a Bolzano: i messaggi nelle due direzioni sono quasi quotidiani. In secondo luogo testimonia dello sforzo immane che l’organizzazione clandestina fa per fornire di soldi (5M sta evidentemente per 5.000 lire di allora, il 1944!), di abiti e alimenti (i pacchi menzionati alla fine) i deportati che rischiavano ogni giorno di partire per la Germania. Infine perché conferma che Ada, futura moglie di Carlo, del tentativo di fuga non sapeva alcunché. Il che non le impedì di comprendere quanto era davvero avvenuto, e cioè che Carlo aveva organizzato la fuga con la propria organizzazione (“Certi suoi amici”, scrive Ada).

Un legnanese a Messina

La foto segnaletica di Mauro, scattata nei locali della Questura al momento dell’arresto, mostra un giovane precocemente invecchiato. Mauro dimostra più dei suoi 29 anni scarsi. Le privazioni, il durissimo lavoro, la lunga clandestinità lo hanno logorato.

ALL’UFFICIO DI PUBBLICA SICUREZZA DI LEGNANO

In esito al foglio sopradistinto comunicasi che l’individuo in oggetto risulta di buona condotta morale. Non così può dirsi per la condotta politica, in quanto risulta uno dei più ferventi comunisti di Legnano, e tale sua idea tuttora ostinatamente e apertamente professa.
Occultamente svolge attiva propaganda sovversiva fra i suoi compagni di fede. È individuo molto scaltro, sfugge sempre alla sorveglianza degli Agenti della forza pubblica ed alle responsabilità penali in virtù soltanto della sufficiente scaltrezza di cui è dotato.
È nemico acerrimo del Regime e del Governo Fascista, contro il quale esercita una intensa propaganda.
Di mestiere lattoniere potrebbe lavorare a Legnano, magari anche per proprio conto, ma preferisce emigrare e lavorare in grandi stabilimenti ove, essendo meno vigilato – perché poco conosciuto alla Polizia – può svolgere intensa propaganda fra la numerosa massa operaia.
È politicamente individuo veramente pericoloso all’Ordine Nazionale, e quindi si esprime parere favorevole affinché venga assegnato al confino, giusta il disposto dell’Articolo 184 della nuova legge di Pubblica Sicurezza.
IL TENENTE
COMANDANTE DELLA TENENZA

(Amisano Giuseppe)

 

Visco Gilardi sarà infine scoperto nel dicembre 1944, torturato dalle SS e rinchiuso egli stesso nel campo. Il suo posto sarà preso però subito da Franca Turra*, che sotto il nome di copertura di “Anita” tirerà le fila del lavoro di un gruppo di coraggiosi che proseguirà il lavoro di assistenza ai deportati fino alla liberazione del Lager. Ada trascorrerà gli ultimi mesi della guerra nelle celle, le orribili prigioni del Lager, dove ogni notte sfogavano i loro istinti sadici le due famigerate SS ucraine, Michael Seifert e Otto Sein. Carlo, invece, già alla fine di ottobre del 1944 riesce a organizzare la propria fuga e a tornare a Milano.

La resistenza nel Lager di Bolzano

Carlo e Ada si impegnano immediatamente in una attività clandestina di resistenza: nel comitato lei rappresenta il PSI e lui il PCI. Con loro ci sono anche il rappresentante cattolico e quello liberale, come nel CLN. Attraverso un fitto scambio di corrispondenza, gestito a rischio della vita da un nutrito gruppo di persone, l’organizzazione clandestina interna tiene i collegamenti con Ferdinando Visco Gilardi, che coordina l’attività di assistenza da fuori su incarico del CLN di Milano.

Il libro matricola di San Vittore

Il libro matricola di San Vittore, conservato in originale all’Archivio di Stato di Milano, spiega passo passo il tragitto – davvero brevissimo – che un detenuto politico italiano compiva dall’arresto ad opera delle autorità repubblichine alla partenza per i Lager nazisti. Carlo, si legge, è stato arrestato a Milano il 28 agosto ’44 e fino al 3 settembre è stato trattenuto dall’UPI – l’Ufficio Politico Investigativo. Il 3 settembre è entrato a San Vittore e immatricolato col numero 5627.  Il 6 settembre, “in seguito a un ordine del Comando Tedesco” è trasferito a disposizione della Gestapo nel reparto tedesco. Basta, i repubblichini avevano esaurito il loro compito, e da quel punto in avanti si disinteressavano del detenuto.

"Acerrimo nemico del Regime" (Originale all'Archivio di Stato di Milano)

(Originale all'Archivio di Stato di Milano)

LEGIONE TERRITORIALE DEI CARABINIERI REALI DI MILANO

Risposto al foglio N° 239 dell’11 Dicembre 1926
Oggetto: Mauro Venegoni di Paolo e di Stefanetti Angela

 

ALL’UFFICIO DI PUBBLICA SICUREZZA DI LEGNANO

In esito al foglio sopradistinto comunicasi che l’individuo in oggetto risulta di buona condotta morale. Non così può dirsi per la condotta politica, in quanto risulta uno dei più ferventi comunisti di Legnano, e tale sua idea tuttora ostinatamente e apertamente professa.
Occultamente svolge attiva propaganda sovversiva fra i suoi compagni di fede. È individuo molto scaltro, sfugge sempre alla sorveglianza degli Agenti della forza pubblica ed alle responsabilità penali in virtù soltanto della sufficiente scaltrezza di cui è dotato.
È nemico acerrimo del Regime e del Governo Fascista, contro il quale esercita una intensa propaganda.
Di mestiere lattoniere potrebbe lavorare a Legnano, magari anche per proprio conto, ma preferisce emigrare e lavorare in grandi stabilimenti ove, essendo meno vigilato – perché poco conosciuto alla Polizia – può svolgere intensa propaganda fra la numerosa massa operaia.
È politicamente individuo veramente pericoloso all’Ordine Nazionale, e quindi si esprime parere favorevole affinché venga assegnato al confino, giusta il disposto dell’Articolo 184 della nuova legge di Pubblica Sicurezza.
IL TENENTE
COMANDANTE DELLA TENENZA

(Amisano Giuseppe)

 

Il giorno del matrimonio tra Ada e Carlo

Per 5 anni, dal 1943 e il 1947, Ada Buffulini ha tenuto un diario quotidiano. Questo diario è oggi un documento straordinario che testimonia di una passione senza limiti, che conduce Ada prima a impegnarsi in numerosissime attività politiche e culturali, poi a entrare in clandestinità per lavorare a tempo pieno per la Resistenza fino all’arresto, il 4 luglio 1944, in una casa milanese, e alla deportazione nel campo di Bolzano. Liberata alla fine della guerra, Ada riprende l’attività professionale di medico e il suo lavoro politico. E’ un impegno che non lascia spazio a null’altro, neppure a un minimo di vita privata. Il diario registra gli avvenimenti del 4 luglio 1946, giorno del matrimonio tra Ada e Carlo a Legnano: è un giorno praticamente come gli altri, con la giornata scandita da una serie di impegni politici, fino a notte.
Il particolare del diario di Ada Buffulini, con le annotazioni del 4 luglio 1946: tra una riunione e l’altra, anche il giorno del matrimonio è quasi un giorno come tutti gli altri. “Giovedì 4 luglio 1946 – Ore 8,30 matrimonio a Legnano. Ritorno subito a Milano; pranzo rist. da sola; pom. da Lisli (esponente socialista,  moglie di Lelio Basso, NdR) poi in federazione; cena in latteria; sera assemblea Porta Vittoria; notte a casa con Carlo”.

Il giorno dell'arresto di Ada

Il 4 luglio 1944 Ada Buffulini andò in casa di Maria Arata per un incontro con un gruppo di giovani desiderosi di conoscere l’organizzazione e le idee del Partito socialista clandestino. Una riunione a rischio, con giovani di cui non si sapeva molto. Ma non si potevano deludere le aspettative di un gruppo che avrebbe potuto in seguito dare un contributo importante al partito in un momento tanto delicato. Ada si presentò all’appuntamento, che si rivelò fatale: qualcuno aveva parlato troppo, o una spia aveva lavorato bene. Fatto sta che l’intero gruppo fu arrestato e condotto a San Vittore. Nel libro matricola di San Vittore (il cui originale è conservato all’Archivio di stato di Milano) c’è la scheda di Ada, da lei controfirmata. Ada è “isolata”, a disposizione dell’Ufficio Investigativo. La scheda successiva, di cui si vedono solo le prime righe, è quella di Maria Arata.

1940: Campo di concentramento di Colfiorito

Carlo Venegoni (il primo da sinistra) nel campo di concentramento di Colfiorito (PG) nel settembre 1940, insieme a altri 8 detenuti. Si riconoscono, da sinistra a destra, in piedi: Carlo Venegoni, Lelio Basso, Dario Fieramonte, Ugo Fedeli, Tarcisio Robbiati. Eugenio Musolino; in basso: Agostino Fumagalli, Luigi Meregalli e Vito Bellaveduta. Attorno a questa fotografia, ripresa dalla mostra dedicata ai 4 fratelli Venegoni, si è sviluppato il progetto delconvegno storico del 4 novembre 2003 a Foligno (PG). Gli atti di quel convegno sono ora pubblicati: Olga Lucchi (a cura di), Dall’internamento alla libertà, il campo di concentramento di Colfiorito, Editoriale Umbra/ISUC, Foligno 2004.