Ora che tutto sembra – solo temporaneamente, temo, purtroppo – finito, vengono alla mente i mille episodi odiosi delle ultime settimane.
Come quella sera, quando tornando a casa ho visto un ragazzo si è staccato dal gruppetto degli amici, si è aperto i pantaloni e si è messo a pisciare sulla vetrina di un negozio, a un metro dal mio portone. “Pisciare a casa tua no, vero?” mi è venuto da dirgli, con tono seccato. Quello mi ha guardato sorpreso che qualcuno potesse avere da ridire per il suo gesto – in fondo, cosa c’è di più naturale di un po’ di pipì? – e poi ha bofonchiato “Ma io non ho una casa”, mentre gli amici, alle sue spalle ridacchiavano.
Non fare lo spiritoso che non ne sei capace, gli ho detto d’istinto, e ho infilato la chiave nel portone. Solo a quel punto lui ha realizzato che stava urinando sulla “mia” casa, e allora ha bofonchiato uno “Scusi”, abbottonandosi frettolosamente la patta.
Perché la logica è questa: se è mio, è mio. Se è tuo, vabbè, te lo concedo, è tuo. Se non è né mio né tuo, tutti ci possiamo fare quello che ci pare, tanto…
… il padrone del Suo non saprà del tacito accordo fra i padroni del Mio e del Tuo. Ormai già se ne sono scappati con quel Toso di nome Omer dal cui atteggiamento sono reciprocamente legati.