Una notte vedo cinque ragazzini (tre maschi e due femmine) che si pigiano su una panchina, ridendo come matti. A non più di tre metri di distanza da loro una ragazza che mi sembra molto giovane a torso nudo tiene la testa sotto il getto della fontanella. Si sentono conati di vomito; la ragazzina si contorce nello sforzo di tirar su tutto quello che ha bevuto, attaccata disperatamente alla fontanella. I cinque non la degnano di un guardo.
Chiedo se conoscono quella ragazzina, ma uno nega: “No no, non è con noi”, e con ciò si vede che considera chiuso l’argomento. Allora mi rivolgo alle due ragazze del gruppo, e dico loro che va bene, non la conoscono, ma lo vedono anche da sole che quella non sta bene e che è mezza nuda davanti a tutti. Forse, se ci pensano, lo capiscono anche loro che è una situazione in cui due ragazze dovrebbero cercare di aiutare una più giovane tanto malcombinata.
Mi sono sentito tante volte un vecchio rompicoglioni, in questi anni, nei miei giri notturni, ma forse mai come questa sera. Le due sedute sulla panchina mi guardano con due occhi così; non dicono niente ma è trasparente che vorrebbero dirmi se davvero penso che loro dovrebbero smettere di divertirsi coi ragazzi per dare retta a quella sfigata. Mi limito a fare di sì con la testa: davvero lo penso. Uno scambio di sguardi, senza una parola, interrotta da una delle due che si alza di scatto sbottando: “Ma cazzo, anche quella ci tocca stasera”. Se potesse, le sparerebbe. Dopo aver sparato a me, s’intende. Le due ragazze lasciando sulla panchina i tre maschi che sembrano aver compreso solo adesso la situazione.
Mi allontano e sento i commenti ad alta voce dei tre sulle tette dell’ubriaca. Io torno a casa. Una volta di più mi pervade molta tristezza, e mi sento sconfitto.